Osteocondrite dissecante della Caviglia

Le lesioni osteocondrali  sono le patologie che coinvolgono  la cartilagine e l’osso sottostante; la loro eziologia è di natura prevalentemente traumatica, anche se esistono casi di osteonecrosi (riassorbimento spontaneo osseo) idipatica, poiche non viene riconosciuta una causa precisa. Le lesioni osteocondrali portano dolore e limitazione articolare; possono essere laterali o mediali: queste ultime sono le più frequenti. Le osteocondriti sono lesioni osteocartilaginee che riguardano l’età evolutiva.

 

Per osteocondrite dissecante si intende una necrosi che interessa solo una piccola parte, centimetrica, della cartilagine articolare e dell’osso corrispondente subcondrale della caviglia. Questa lesione può localizzarsi in astragalo o in tibia ed in diversi punti. Nella maggior parte dei casi si localizza a livello del margine mediale del corpo astragalico. L’osso si distacca dal tessuto osteocartilagineo circostante fino a staccarsi diventando libero all’interno della articolazione della caviglia e determinandone la sintomatologia.

classificazione della patologia in quattro stadi:

piccola area di compressione subcondrale,

frammento isolato parzialmente,

frammento completamente distaccato ma non dislocato,

completa dislocazione del frammento.

Quali sono i sintomi della osteocondrite dissecante?

il dolore spesso ha carattere intermittente e risulta difficilmente localizzabile. Nella maggior parte di case il dolore si localizza dal lato della osteocondrite;

la limitazione funzionale della caviglia e la relativa zoppia si verifica inizialmente a causa del dolore ma successivamente  quando si verifica il distacco del frammento si può verificare un vero e proprio blocco articolare per la interposizione del frammento tra la tibia e l’astragalo. L’osteocondrite dissecante si manifesta principalmente nell’età adolescenziale e nei giovani adulti e risulta inizialmente asintomatica; in età adulta, si hanno le prime manifestazioni di dolore e di limitazione del movimento articolare.

Come si fa diagnosi di osteocondrite dissecante dell’astragalo?

La diagnosi si  effettua sulla base di può dati:

anamnesi: ovvero la raccolta dei dati del paziente che riferisce le caratteristiche del suo dolore, la localizzazione ad uno dei comparti della caviglia e nella maggior parte dei casi riferirà di pregresso trauma distorsivo al collo piede

Esame clinico: lo specialista andrà a ricercare la mobilità della caviglia. Evocherà il dolore per capirne la localizzazione, l’intensità e le caratteristiche; andrà poi a valutare lo stato legamentoso, tendineo e vascolare per escludere le altre cause di dolore della caviglia ed orientarsi meglio sulla diagnosi (test del cassetto anteriore, varo e valgo stress, ecc)

Esami strumentali:

la radiografia: l’Rx metterà in evidenza la lesione osteocondrale in caso di completo o parziale avulsione del frammento osteocondrale. Inoltre potrà mettere in evidenza un eventuale processo artrosico in atto.

La risonanza magnetica: rappresenta l’esame di scelta per la diagnosi di osteocondrite poichè sarà capace di evidenziare, grazie alle sue ricostruzioni triplanari, la localizzazione, le dimensioni e le caratteristiche della lesione. Metterà inoltre in evidenza la presenza di quello che viene definito come edema della spongiosa che rappresenta il versamento che si evidenzia all’interno dell’osso spongiosa è che indica lo stato di sofferenza dell’osso stesso. Con la risonanza si vedranno poi le altre lesioni concomitanti, soprattutto a livello dei legamenti collaterali della caviglia spesso lesionati.

TAC o TC: rappresenta un utile sussidio diagnostico per evidenziare il frammento osseo distaccato, molto utile soprattutto nei pazienti che non possono eseguire la risonanza magnetica per controindicazioni.

Come si cura

Trattamento conservativo (non chirurgico).

È indicato nei casi di lesione di I° e II° grado in cui non vi distacco e migrazione del frammento. Si intende terapia con antinfiammatori e condroprotettori.

Spesso è necessario effettuare infiltrazioni con acido ialuronico ad elevato peso molecolare che facilita la riparazione della cartilagine della lesione.

In caso di edema della spongiosa può essere associata terapia fisica con Campi Elettro-Magnetici Pulsati (CEMP) e magnetoterapia.

Trattamento chirurgico:

artroscopia o accesso mini-artrotomico. Prevede un accesso chirurgico alla articolazione con lo scopo di rimuovere il frammento osteocondrale. A tale intervento il Dott. Cavallo associa spesso le perforazioni osteocondrali che hanno lo scopo di richiamare in articolazioni cellule staminali e stimolare così la riparazione della lesione.

Innesto di tessuto osteo-cartilagineo o tipo Condrotissue. È indicato per lesioni maggiori di 2 cm quadrati. In questo intervento si utilizza un tessuto sintetico simil-cartilagineo che funge da Scaffold per i condrociti e fibroblasti che vanno a riparare la lesione. Questa tecnica prevede la cruentazione del focolaio con perforazioni. Dopo di che si ritaglia su misura il tessuto da reimpiantare che si fissa all’osso con colla di fibrina.

Per lesioni di maggiori dimensioni è possibile effettuare un trapianto con osso di banca che va osteosintetizzato all’astragalo del paziente dopo aver rimosso il frammento con l’osteonecrosi.

Riabilitazione e recupero:

il recupero ovviamente dipende dalla tecnica chirurgica utilizzata. Nella maggior parte dei casi si consiglia in divieto di carico per 30 giorni e successivo carico graduale. La caviglia in genere non viene immobilizzata ma si concede la mobilizzazione attiva e passiva immediata e prolungata. La ripresa della attività sportiva non è consigliata prima dei 5 mesi

Piede piatto sintomi diagnosi intervento

Il piede piatto

il piede rappresenta la zona del corpo con il suolo con cuoi contrasta la forza di gravità. la sua non è solo una funzione meccanica ma soprattutto percettiva dovendo in ogni momento adattarsi alle diversità del suolo. si comprende facilmente quindi quanto sia importante lo strumento piede del la postura.

tutti i difetti a carico del piede si ripercuotono per tanto su  tutti gli altri sistemi che compartecipano al mantenimento della posizione ed eretta ovvero le ginocchia, le anche e la colonna vertebrale.

Cos’è il piede piatto?
per piede piatto si intende una alterazione della fisiologica arcata plantare mediale e durante il carico si riduce troppo non riuscendo a sostenere il peso della forza di gravità. questa alterazione si associa spesso anche alla deviazione in valgo del retropiede ovvero una inclinazione mediale del retropiede a causa del tentativo del calcagno di opporsi a questo fenomeno.

quali problemi porta il piede piatto?

questa alterazione del piede porta a modificare completamente l’asse degli arti inferiori e della colonna portando ad un loro disassiamento e sovraccarico con relativo dolore.

Le lesioni più spesso associate sono:

intrarotazione delle anche (che si manifesta con una deambulazione con rotazione verso l’interno dei piedi)
aumendo del valgismo delle ginocchia;
aumento del varismo tibiale;
malallineamento rotuleo con iperpressione esterna della rotula;
proiezione in avanti del bacino (antiversione);
aumento della lordosi lombare (iperlordosi);
consequenziale aumento della cifosi dorsale e spianamento del rachide cervicale.
E’ stato visto che i soggetti con piede piatto hanno una maggiore predisposizione a sviluppare artrosi alla colonna vertebrale ed alle ginocchia per la cattiva distribuzione del carichi sulla cartilagine articolare.

Sintomatologia:

tutte le alterazioni posturali causate dal piede piatto fanno si che la sintomatologia non si estrinsechi solo a livello dei piedi ma anche a livello delle ginocchia e della colonna vertebrale.
i pazienti, e soprattutto i bambini, riferiscono una facile affaticabilià alle gambe, una intolleranza ad indossare alcuni tipi di calzature, usura abnorme in alcuni punti della suola. i bambini tengono a non tollerare le calzature preferendo deambulare scalzi appena tornati a casa.
Dolori possono verificarsi sia al tallone che al mesopiede che all’avampiede con una maggiore predisposizione all’alluce valgo. nell’età adolescenziale soprattutto nei soggetti di sesso femminile si manifestano dolori persistenti alla colonna vertebrale ed alle ginocchia che spesso è resistente a tutti i trattamenti farmacologici e fisioterapici.

da adulti si ha grossa difficoltà a rimanere in piedi per molto tempo ad indossare scarpe con un basso profilo plantare e a deambulare per molto tempo.

Come si fa la diagnosi di piede piatto?

la diagnosi è essenzialmente clinica.
studiare il soggetto durante la stazione eretta e durante la deambulazione a piedi scalzi evidenzierà la scomparsa della arcata plantare. inoltre sarà possibile osservare le altre alterazioni a livello delle ginocchia e della colonna vertebrale e delle anche.
che esame è possibile effettuare per diagnosticare il piede piatto?
la radiografia dei piedi sotto carico rappresenta l’esame definito “gold standard” per la diagnosi di questa patologia,
grazie a questo esame è possibile valutare il piattismo del piede attraverso la effettuazione di alcune misurazioni come l’angolo di Costa-Bertani.
sarà inoltre possibile ricercare altre alterazioni come sinostosi, ossa accessorie, calcificazioni alluce valgo ecc.
esami ulteriori come la baropodometria statica e dinamica computerizzata possono essere richiesti per comprendere meglio i difetti del piede.
come curare il piede piatto.
Visti i numerosi disturbi che si associano al piede piatto e soprattutto l’evoluzione verso l’artrosi del piede, del ginocchio e della colonna, è facile comprendere quanto sia importante il trattamento precoce di questa patologia.
Sin dai primi passi per migliorare la deambulazione del bambino sarà possibile confezionare plantari su misura o scarpe ortopediche qualora già in età pediatrica il piede fosse sintomatico.
tuttavia queste ortesi non sono capaci di correggere il piede piatto ma piuttosto di compensarlo ogni volta che viene indossato.
Dall’età di 8 anni, quando ormai il piede piatto inizia ad essere sintomatico a carico di piede ginocchia o colonna vertebrale, si inizia a valutare la possibilità di effettuare l’intervento di artrorisi sottoastragalica con endortesi. Tale intervento è tanto più efficace quanto più precocemente viene effettuato. l’età migliore per farlo è appunto tra  gli 8 ed i 16 anni, a secondo dello sviluppo e del sesso.
Nei soggetti in età adulta per il piede piatto sintomatico le opzioni terapeutiche sono quella incruenta o quella chirurgica. La prima opzione terapeutica prevede l’utilizzo di plantari con sostegno della volta plantare in multiform, cuoio, carbonio, con cunei supinatori e pronatori, olive, barre retroccapitate,scarichi ecc… (a seconda delle alterazioni del piede) il trattamento chirurgico è indicato in tutti quei pazienti con piede piatto valgo di III grado che non vogliono più indossare il plantare, oppure nelle forme dolorose resistenti ai trattamenti incruenti.
i trattamenti più frequentemente effettuati sono:
-artrorisi sottoastragalica in anestesia locale (segue tecnica chirurgica dettagliata)
-artrodesi sottoastragalica secondo Grice: consiste nella asportazione della cartilagine delle articolazioni sottoastragaliche e nella fusione della stessa articolazione dopo aver introdotto nello spazio un cuneo di osso prelevato del perone.
-artrodesi sottoastragalica con innesto di osso di banca: tale tecnica come la Grice prevede l’artodesi della sottoastragalica, ma in questo caso non viene prelevato osso ma viene utilizzato quello di banca e viene effettuata una sintesi stabile della articolazione con una vite dopo aver ripristinato la fisiologica arcata plantare
-osteotomia cavizzante di calcagno. consiste nella  asportazione di un cuneo di calcagno e nella sintesi in correzione.
-ritensionamento del tendine tibiale posteriore, consiste nel riposizionare con ancorette o cambre il tendine tibiale posteriore che ha una importante funzione cavizzante del piede.

L’artrorisi sotto-astragalica con endortesi

Questa tecnica prevede la correzione del piattismo e del valgismo del retropiede attraverso introduzione di una endortesi in uno spazio definito “seno del tarso”. questa endortesi fa si che durante il carico vi sia lo slittamente e la orizzontalizzazione dell’astragalo che determina il cedimento della arcata plantare mediale.
l’endortesi prevalentemente utilizzata dal dott. Cavallo è quella in titanio poichè :
– assicura una maggiore stabilità,
– ha più misure per adattarsi alla gravità del piattismo
– non crea problemi di allergia al nichel
– è compatibile con la risonanza magnetica
questo  intervento consta di più fasi:
1) anestesia: nei soggessi al di sotto dei 12 anni è necessario effettuare anestesia generale poichè non collaboranti. per soggetti più grandi il Dott. Cavallo ha elaborato un protocollo in anestesia locale attraverso una piccola puntura direttamente  in situ.
2) incisione a livello del seno del tarso di 1.5 cm circa
3) esposizione del legamento a siepe.
4) si inserisce un filo guida per consentire il corretto posizionamento della vite.
5) si inseriscono progressivmente delle viti di prova sino a che non si osserva il corretto posizionamento del piede.
6) si inserisce la vite definitiva in titanio assicurandosi della correzione e della sua stabilità.
7) sutura della ferita in genere con punti non riassorbibili
8) confezionamento di un gesso a stivaletto che viene indossato per 20 giorni con divieto di carico e poi rimosso dopo effettuazione di Rx di controllo.

Scheda tecnica intervento:

Tipologia di trattamento:
Durata intervento: 10 minuti
Anestesia: locale o generale (i n base all’età)
Tempo di ricovero: 24 ore di degenza.
Decorso post-operatorio: 20 giorni di gesso e successivamente carico completo
Riabilitazione: non necessaria