L’artrosi del ginocchio

L’artrosi del ginocchio

L’osteoartrosi o artrosi o secondo la corrente terminologia anglofona, osteoartrite (osteoarthritis) è una malattia degenerativa che interessa le articolazioni.

È una delle cause più comuni di disturbi dolorosi, colpisce circa il 10% della popolazione adulta generale e il 50% delle persone che hanno superato i 60 anni di età. Durante il manifestarsi di tale patologia nasce un nuovo tessuto connettivo e un nuovo osso attorno alla zona interessata. Generalmente sono più colpite le articolazioni sottoposte ad usura, soprattutto al carico del peso corporeo, come le vertebre lombari o le ginocchia.

L’articolazione interessata presenta alterazioni della cartilagine,con assottigliamento, fissurazione, formazione di osteofiti marginali e zone di osteosclerosi subcondrale nelle aree di carico. La membrana sinoviale si presenta iperemica e ipertrofica, la capsula è edematosa e fibrosclerotica.

Classificazione

Esistono diverse tipologie di osteoartrosi, a seconda del grado o del comportamento della stessa può essere:

Primaria, se è causata da fattori genetici ovvero idiopatica.

Secondaria (a traumi, interventi chirurgici, a problemi meccanici, a problemi settici)

Localizzata (monoarticolare)

Generalizzata (pluriarticolare)

Fattori di rischio

Costituiscono fattori predisponenti l’obesità, il sesso femminile, traumi articolari, stress continuo, umidità.

Clinica

Segni e sintomi

I sintomi principali della gonartrosi sono:

dolore

versamento articolare (ginocchio gonfio per eccesso di liquido sinoviale)

limitazione della mobilità fino alla rigidità dell’articolazione

contrattura in flessione

limitata capacità di deambulazione

zoppia

Generalmente gli indici ematochimici (esami del sangue)di flogosi sono normali

Esami strumentali

Nelle radiografie all’inizio della patologia non si riscontra alcuna alterazione, ma con il progredire della malattia si nota:

riduzione dello spazio articolare

alterazione del profilo dell’estremità articolare dell’osso

formazione di osteofiti ai margini delle articolazioni o nel punto di inserzione dei tendini

zone cistiche nell’osso immediatamente al di sotto della cartilagine.

Il grado di alterazione dimostrabile radiologicamente non è sempre correlato all’entità della sintomatologia.

Trattamento

I cambiamenti nello stile di vita, specialmente la perdita di peso e l’attività fisica, uniti alla terapia analgesica, rappresentano il perno del trattamento dell’osteoartrosi. Il paracetamolo rappresenta il farmaco di prima linea, mentre i FANS sono indicati solo nel caso il sollievo dal dolore non sia sufficiente, in relazione alla minore incidenza di effetti collaterali del primo nella terapia cronica.

Stile di vita

Attività fisica

Nella maggior parte dei pazienti affetti da osteoartrosi, l’attività fisica moderata permette un aumento della funzionalità articolare e una riduzione del dolore, soprattutto nella gonartrosi.

Dieta

Nelle persone in sovrappeso, il calo ponderale può rappresentare un fattore importante, in quanto garantisce da una parte una riduzione del dolore dall’altra un aumento della funzionalità e una riduzione della rigidità e dell’affaticamento, riducendo la necessità di una terapia farmacologica. Una metanalisi condotta nel 2009 ha dimostrato che l’educazione del paziente alla gestione della malattia permette una riduzione media della percezione del dolore del 20% rispetto all’uso dei soli antiinfiammatori nei pazienti affetti da coxartrosi.

Fisioterapia

Esiste una evidenza sufficiente ad affermare che la fisioterapia può ridurre il dolore e aumentare la funzionalità. Esistono evidenze che la manipolazione risulti essere più efficace dell’esercizio fisico nell’artrosi dell’anca, queste evidenze non sono considerate conclusive.

L’allenamento funzionale con la gestione dell’andatura e dell’equilibrio è raccomandato per permettere un miglioramento della propriocezione, utile a ridurre il rischio di traumi da caduta nei pazienti più anziani. L’utilizzo di tutori morbidi può permettere il miglioramento dei sintomi in un anno.

Trattamento farmacologico

Analgesici

Il paracetamolo è il trattamento farmacologico principale nell’osteoartrosi. Nel dolore lieve e moderato la sua efficacia è simile a quella dei farmaci antiinfiammatori non steroidei,mentre nel dolore forte i FANS possono essere più efficaci, tuttavia sono associati al rischio di ulcera gastrica e duodenale. Gli inibitori selettivi della COX-2,come il celecoxib, sono parimenti efficaci, ma non più sicuri in termini di effetti collaterali, oltre a risultare più costosi. La somministrazione topica garantisce minor rischio di effetti collaterali, ma anche un minor effetto terapeutico.

Gli oppiacei, come morfina e fentanyl garantiscono una migliore gestione del dolore, tuttavia, per i frequenti effetti collaterali, non sono utilizzati di routine.

Altri farmaci

La somministrazione orale di corticosteroidi non è raccomandata nel trattamento dell’osteoartrite per via dell’efficacia modesta a fronte dell’alto rischio di effetti collaterali. Le infiltrazioni intra-articolari di farmaci come l’idrocortisone garantiscono un sollievo a breve termine, compreso tra qualche settimana e qualche mese.

Trattamento infiltrativo con acido ialuronico (Vedi infiltrazioni con acido ialuronico)

Trattamento chirurgico (vedi protesi di ginocchio)

Le lesioni della cartilagine

Le lesioni della cartilagine

La cartilagine articolare è il tessuto di rivestimento delle articolazioni piccole e grandi che per le sue caratteristiche chimico-fisiche è capace di sopportare le forze di compressione e trazione  durante i movimenti.

La cartilagine è formata da cellule specifiche chiamate condrociti che sono inserite in un substrato di materiale amorfo ricco di collagene condroitin-solfato e glicoaminoglicani.

La cartilagine non è di per se una struttura vascolarizzata; i nutrienti per i condrociti non giungono attraverso il sangue quindi ma attraverso il liquido articolare  e dallo strato di osso sottostante la cartilagine (osso subcondrale)

Durante i movimenti la pressione intrarticolare spinge le sostanze nutritive nella cartilagine in modo da nutrirla. Questa spiega perchè uno sport regolare ma non stressante per le articolazioni aiuti a conservare la cartilagine.

Tuttavia questo spiega perché la cartilagine articolare allo stato attuale non sia capace di rigenerare dopo un trauma. Dove non arriva il sangue non è possibile la rigenerazione tissutale.

I  danni cartilagini possono esser di due tipi:

  • Traumatici
  • Degenerativi

I danni traumatici sono tipici dei soggetti giovani o sportivamente attivi e sono in genere ristretti a zone localizzate del ginocchio. Queste evolvono progressivamente e precocemente verso possibili quadri di artrosi.

I danni degenerativi invece sono legati ad un sovraccarico della articolazione che può esser dovuta o ad  alterazioni congenite degli assi degli arti inferiori come il ginocchio valgo, varo o ai mal-allineamenti rotulei.

Le ginocchia vare portano ad una usura prevalentemente a carico della cartilagine del condilo e del piatto tibiale interni; le ginocchia valghe al contrario sovraccaricano la cartilagine del condilo femorale e piatto tibiale esterni.

I malallineamenti rotulei come la rotula alta, bassa e l’iperpressione esterna portano ad usura elettiva della cartilagine cosiddetta articolazione femoro-rotula

Altre cause di danno cartilagineo sono il sovrappeso e l’obesità che costringono le articolazioni ad un carico abnorme rispetto a quello che son capaci di sopportare portando così ad un usura precoce del tessuto.

Più rari sono i difetti assiali legati ad eventi traumatici o post-chirurgici che hanno modificato l’asse degli arti inferiori che sovraccaricano elettivamente alcuni distretti cartilaginei del ginocchio.

Quali sono i segni delle lesioni cartilaginee?

Il dolore persistente in alcuni distretti specifici in base alla localizzazione del danno

Il blocco articolare (spesso per associazione di un danno meniscale in seguito ad un trauma)

Limitazione della articolarità a causa del dolore o del gonfiore.

Gonfiore del ginocchio

Riduzione della capacità di compiere i comuni gesti della vita quotidiana come camminare, far le scale, alzarsi dalla sedia ecc.

Come si cura la cartilagine?

Dipende dal grado di lesione e dalla sua estensione.

Nelle lesioni dal I° al III° stadio di Outerbridge la migliore strategia ortopedica consiste nella pulizia artroscopica dei frammenti cartilaginei con l’asportazione dei relativi corpi mobili ed eventuale sinoviectomia. Vedi artroscopia

Nei lesioni di IV grado della classificazione di Outerbridge (che rappresenta lo stadio più avanzato) è necessario trattare la cartilagine in base alla lesione.

In caso di un paziente di giovane età e con lesione focale minore di 2 cm quadrati il trattamento è quello incruento con l’utilizzo di:

  • infiltrazioni con acido ialuronico ad elevatissimo peso molecolare
  • utilizzo di cellule staminali e PRP
  • campi elettromagnetici pulsati.

In casi in cui purtroppo ci si trovasse davanti a lesioni di grado altrettanto elevato  ed estensione maggiore di 2 cm quadrati in soggetti giovani il trattamento indicato sarebbe quello con innesti di tessuti biologici o di sintesi. Tra le tecniche più utilizzate vi sono:

  • Microfractures secondo Pridie: che consistono nella perforazione dell’osso subcondrale per permettere di arrivare sangue e cellule indifferenziate (cell staminali) che possano premettere la crescita di un tessuto riparativo sulla  zona priva di cartilagine.
  • Mosaicoplastica: prevede il prelievo di cilindretto di tessuto cartilagineo sano in zone non di carico (come la gola intercondiloidea) che vengono inseriti a riempimento dell’area lesionale.
  • Utilizzo di tessuti biologici di sintesi che fungono da scaffold ovvero tessuti con struttura molto simile a quello cartilagineo che viene abitato da cellule indifferenziate che vanno ad insediarsi creando un processo di cicatrizzazione della lesione. A tale tecnica si può integrare l’utilizzo di centrifugato sanguigno ricco di cellule staminali o prp. Questa membrana viene modellata in base alla forma della lesione e viene adesa ad essa con colla di fibrina. Uno dei migliori tessuti in commercio è rappresentato dal Condhrotissue che viene principalmente utilizzato su ginocchio e caviglia.

Legamento crociato anteriore e la sua lesione

Legamento crociato anteriore e la sua lesione

Il legamento crociato anteriore è uno dei quattro più importanti legamenti che costituiscono l’articolazione del ginocchio. È una struttura fibrosa, di forma allungata, collocata al centro del ginocchio, tesa fra tibia e femore. La sua funzione è quella di stabilizzare l’articolazione, in collaborazione con il legamento crociato posteriore, con il quale va a formare il pivot centrale dell’articolazione. In particolare, la sua funzione primaria è quella di impedire lo spostamento in avanti della tibia rispetto al femore. Il nome è indicativo del caratteristico incrocio di questi con il legamento crociato posteriore all’altezza delle loro intersezioni sulla tibia. .A causa di una maggiore importanza rivestita dall’attività sportiva, lesioni a carico del legamento crociato anteriore sono sempre più frequenti. Negli Stati Uniti, si contano dai 75.000 ai 100.000 casi di lesioni all’anno, anche se alcune fonti giungono a stimare i casi in 150.000 all’anno.

Storia

I primi studi compiuti sul legamento crociato anteriore, risalgono al 3000 a.C. nell’antico Egitto,ma è solo con Ippocrate di Coo che si ha la prima descrizione di una sublussazione del ginocchio causata da una lesione del legamento crociato anteriore. Galeno di Pergamo, approfondì nel II secolo d.C. i propri studi sul ginocchio, dando a questa struttura il nome di ligamenta cruciata genus.

Anatomia del LCA

Struttura

Anatomicamente, il legamento crociato anteriore, è situato al centro del ginocchio, fra tibia e femore, ove forma con il legamento crociato posteriore il pivot centrale dell’articolazione, ovvero il perno centrale attorno cui ruota l’articolazione stessa. Questo, insieme al legamento collaterale mediale e al legamento collaterale laterale, garantisce la completa stabilità alla struttura.

Il legamento crociato anteriore è collocato in sede intrarticolare, ma extrasinoviale e parte da un’area rugosa dall’eminenza intercondilea della tibia, subito avanti e lateralmente alla spina tibiale anteriore, con un attacco di forma ellittica lungo mediamente 17 millimetri e largo 11. Procede, poi, obliquamente verso l’alto con un andamento a spiroide di circa 110°, passando sotto al legamento trasverso, unendosi parzialmente al corno anteriore del menisco laterale, e finisce per inserirsi sul condilo laterale del femore con un attacco ovalare del diametro che varia dai 14 ai 16 millimetri.

Dimensionalmente, il legamento crociato anteriore, ha una lunghezza, misurata dalla tibia al femore, variabile tra 31 a 39 millimetri, per un lunghezza media di 29,6 millimetri, mentre il diametro si attesta su una media di 11 millimetri.

Esso è idealmente costituito da due fasci non individuabili, uno antero-mediale che va ad inserirsi nella regione antero-mediale dell’inserzione tibiale ed uno postero-laterale, costituito dal resto del legamento. La prima risulta tesa in flessione, mentre la seconda risulta tesa in deflessione.

Innervazione

Il legamento crociato anteriore risulta particolarmente innervato e circa l’1,5% del suo volume è costituito da terminazione nervose. In particolar modo, all’altezza degli innesti ossei è possibile individuare fino a 4 tipi di recettori, ed infatti, una delle funzioni del legamento crociato anteriore.

Vascolarizzazione

Il principale apporto di sangue dei legamenti crociati nasce dall’arteria genicolata centrale.

Funzione del LCA

Come già accennato, il legamento crociato anteriore assolve le funzioni di:

  • resistenza alla lussazione anteriore;
  • resistenza alla lussazione mediale.

In particolare, esso è responsabile di circa 86% della resistenza alla lussazione anteriore e di circa il 30% a quella mediale.

Lesione dell’LCA

Il legamento crociato anteriore è spesso soggetto a lesioni. Soggetti particolarmente esposti al rischio di lesione sono gli sportivi. Una volta appurata la lesione del legamento, è necessaria una valutazione della stabilità dell’articolazione. Esistono due tipi di stabilità, quella attiva data dalla muscolatura dell’ arto inferiore e dal controllo neuromuscolare della stessa e quella intrinseca, data appunto dall’ integrità e dalle caratteristiche biochimiche e biomeccaniche del legamento stesso. TEST DI STABILITA’ Le prove di stabilità in caso di sospetta lesione del legamento si effettuano prima sull’ arto sano e poi su quello leso. I test più comuni sono il Lachmann test ed il cassetto anteriore (anterior drawer) in cui viene sottoposta manualmente una sollecitazione in senso anteroposteriore facendo dislocare la tibia dal femore. Qualora venga ritenuto necessario intervenire chirurgicamente per ridare la stabilità passiva, non è sufficiente la sutura del tessuto, ma è necessaria la completa sostituzione, attraverso diverse tecniche, che vanno dall’auto-impianto, con differenti sedi di prelievo, prelievo da cadavere o, infine, impianto di natura sintetica. Allo stato dell’arte, risulta difficile una valutazione sulla tecnica migliore fra queste, poiché ognuna di esse presenta vantaggi e svantaggi non trascurabili.

Trattamento chirurgico

Le tecniche chirurgiche che mirano a ricostruire il legamento crociato anteriore sono artroscopiche. 

La degenza prevede 3 notti post-operatorie. L’anestesia di scelta è quella spinale.

Le tecniche utilizzate dal dottor Cavallo sono:  1. Ricostruzione con tendine Rotuleo 2. Ricostruzione con tendini del Semitendinoso (ST) e Gracile (GR) 3. Ricostruzione con Allograft (tendine da donatore)  La ricostruzione con Semitendinoso e Gracile, tecnica ad oggi assai diffusa in tutto il mondo, prevede l’utilizzo dei tendini di due muscoli flessori mediali della coscia che vengono prelevati con una piccola incisione dalla tibia prossimale. Una volta imbastiti e quadruplicati vengono fatti passare attraverso due tunnels ossei precedentemente allestiti sotto guida artroscopica in articolazione. La fissazione avviene mediante speciali pinze e viti bio-riassorbibili.

La ricostruzione con Tendine Rotuleo prevede per quanto riguarda la fase artroscopica di preparazione, una procedura più o meno sovrapponibile a quella della tecnica che utilizza ST e GR.  Differente è l’espianto del terzo centrale del tendine rotuleo attraverso un accesso chirurgico mediano davanti al ginocchio di circa 7 cm. Dopo la preparazione delle due brattee ossee  – prossimale (rotulea) e distale (tibiale) – della dimensione desiderata , avviene il suo inserimento in articolazione attraverso un tunnel osseo lievemente  più ampio sia per la tibia che per il femore. Anche in questo caso la fissazione del neo-legamento avviene mediante speciali pinze e viti bio-riassorbibili.

La ricostruzione con Allograft (tendine da donatore) è un innesto ottenuto in genere da un tendine d’Achille o Rotuleo da donatore (CFR banca dell’ osso) . L’intervento ha il vantaggio indiscusso di essere molto meno invasivo, poichè  non prevede il prelievo di tendini del paziente, evitando così di indebolire i flessori di coscia o il quadricipite come nei precedenti due interventi. Tuttavia è sicuramente una procedura particolare, meritevole di approfondimento e discussione con lo specialista di fiducia e va indicato solo in casi assi risicati, come ad esempio nelle recidive di lesioni legamentose in sportivi che hanno già subito in precedenza  interventi ricostruttivi del L.C.A.

La fisioterapia prima dell’ operazione è sempre stata considerata essenziale per tutti i soggetti . In particolare è consigliato il controllo del dolore attraverso fisioterapia strumentale, elevazioni dell’ arto per favorirne il drenaggio e mantenere il tono per quanto possibile. inoltre è consigliato un recupero della (ROM:intervallo di movimento) e della forza prima dell’ operazione.

INTERVENTO

L intervento viene eseguito di norma in anestesia periferica e dura circa 60 minuti.

DOPO L’INTERVENTO

L ‘arto operato presenta un tubicino in plastica (drenaggio) intra-articolare in aspirazione per la raccolta del

sangue presente nell’articolazione.

La rimozione del drenaggio dopo 48 ore e inizio della fisioterapia a letto.

Si inizia con la mobilizzazione della tibio-tarsica, contrazioni isometriche dei flessori e del quadricipite.

Dal 3° al 6° giorno post-intervento

    • Si prosegue la fisioterapia in palestra, si riprende la deambulazione con due bastoni con carico anche sull’arto operato.
    • Radiografia di controllo.
    • Medicazione.
    • Dimissione e viene consigliato al paziente di rivolgersi in un centro di riabilitazione.

Cosa deve fare il paziente operato di ricostruzione LCA a domicilio

Dalla dimissione alla 4° settimane dall’intervento

    • Rimozione punti dopo 15 giorni dall’intervento.
    • Prosecuzione della mobilizzazione attiva, nel range da 0 a 90 gradi.
    • Esercizi di stiramento miofasciale posteriore attivo.
    • Esercizi attivi di potenziamento dei flessori del ginocchio, dei glutei, del tensore della fascia lata.
    • Deambulazione in carico, con ausilio di due bastoni.
    • 3 settimane concessa escursione articolare da 0 a 130 gradi.

Dalla 5° alla 6° settimana

    • Deambulazione in pieno carico.
    • Intensificazione degli esercizi di potenziamento muscolare dei flessori del ginocchio e del quadricipite, eseguiti attivamente senza impiego di resistenze.
    • Mobilizzazione attiva e passiva, dolce e graduale, in flessione del ginocchio operato.
    • Nuoto alternato all’uso di cyclette, senza resistenze (1 ora al giorno).
    • Controllo clinico ortopedico specialistico, con esame radiografico del ginocchio operato.

Dalla 7° alla 9° settimana

    • Deambulazione libera.
    • Prosecuzione degli esercizi descritti (cyclette, nuoto, esercizi isometrici).
    • Cocontrazioni, sotto controllo fisioterapico, dei flessori-quadricipite nel range 30-90 gradi.
    • Surfing, esercizi di carico, recupero della propria attività articolare.

Dalla 10° alla 12° settimana

    • Ripresa del lavoro.
    • Intensificazione degli esercizi, della rieducazione propriocettiva, della cyclette e delle cocontrazioni agonisti-antagonisti.
    • Inizio degli esercizi contro resistenza per i flessori del ginocchio:
    • le resistenze in estensione possono essere impiegate solo con ginocchio esteso ed applicate al terzo prossimale della gamba.

Visita specialistica ortopedica con esame radiografico recente del ginocchio operato nelle proiezioni frontale, laterale ed assiale di rotula a 45 gradi.

Intensificazione ulteriore degli esercizi precedenti.

Inizio della riabilitazione isocinetica, con apparecchi tipo Cybex od Ortotron.

Corsa in piano, saltelli in appoggio bipodalico.

Dal 4° mese post-operatorio

Prosecuzione della ginnastica isocinetica (90 minuti al giorno).

Oltre alla corsa, inizio degli scatti, dello slalom, del salto monopodalico su superficie elastica.

Dal 5° mese

Ripresa dell’ allenamento sportivo. Prosecuzione dell’ isocinetica.

Dal 6° mese

Visita specialistica ortopedica, con esame radiografico recente.

Ripresa dell’attività sportiva agonistica, a giudizio del chirurgo ortopedico.

Controllo clinico, radiografico ed eventuale TAC ogni anno.

Menischi e rotture meniscali

Menischi e rotture meniscali

Cosa sono i menischi?

I menischi sono delle importanti strutture fibrocartilaginee presenti all’interno del ginocchio. All’interno di ogni articolazione esistono due strutture meniscali; un menisco mediale ed uno laterale. Entrambi i menischi hanno una struttura C ma con forma e dimensioni diverse. Hanno una sezione triangolare. La loro parte più spessa funge da ancoraggio alle strutture capsulolegamentose, mentre il margine tagliente costituisce quello libero in articolazione.

Distinguiamo per ogni menisco un corno posteriore, un corpo ed corpo.

La diversità è dovuta al fatto che queste strutture si adattano perfettamente alle differenti forze meccaniche a cui sono sottoposte in articolazione.

Sono strutture che nell’età adulta sono quasi completamente avascolarizzate (fatta eccezione per la parte murale definita rossa-rossa) e pertanto non riparabili spontaneamente in caso dilesione

A cosa servono i menischi ?

I menischi hanno diverse funzioni:

aumentano la congruenza delle superfici articolari del femore e della tibia. I condilo femorali infatti sono quasi sterici e sono adagiati su una superfice quasi plana che sono i piatti tibiali. I menischi come delle zeppe vanno a completare questo porzione anatomica mancante.

Ciò fa si che le forze di carico non vengano dissipate in un una zona di contatto ma in buona parte sui menischi, rendendoli degli importanti ammortizzatori del ginocchio che fanno si di preservare quanto più possibile il tessuto nobile e più delicato del ginocchio, la cartilagine.

Inoltre sembra che facilitino la circolazione del liquido articolare nel ginocchio facilitando il nutrimento delle cellule della cartilagine (chiamate condrociti) la quale non è vascolarizzata e riceve ossigeno e sostanze vitali attraverso questo sistema e l’osso subcondrale.

Cause : Come e perché si rompono i menischi?

I menischi non sono delle strutture inerti come si può pensare. Esse sono in realtà mobili assecondando i movimenti di rotolamento e scivolamento che i condili femorali esercitano sul piatto tibiale in ogni atto di flessione ed estensione del ginocchio.

Distinguiamo due tipi di lesioni fondamentalmente:

  • lesioni traumatiche : che coinvolgono un menisco strutturalmente giovane e che per rompersi necessita di un movimento abnorme in iperflessione, iperestensione, varizzazione e valgizzazione. Questi movimenti nella maggior parte dei casi avvengono durante la pratica di attività sportiva o in traumi della strada o sul lavoro. Non di rado queste lesioni si associano a quelle di altre strutture come i legamenti crociati, collaterali, della capsula e della cartilagine.
  • Lesioni degenerative; si verificano in genere in menischi che già di per se hanno una struttura degenerata. Tali lesioni infatti non sono nette e regolari e si verificano per movimenti banali come accovacciamento , inginocchiamento ecc.. Spesso i pazienti non riconoscono nemmeno l’evento in cui si è creata la lesione.

In entrambi i casi il menisco rimane incarcerato nella morsa tra femore e tibia schiacciandolo e creando una lesione.

Classificazione per tipologia di lesone meniscale:

  • Longitudinale
  • Radiale
  • Orizzontale
  • A flap
  • A manico di secchio
  • Complessa

    Classificazione in base alla localizzazione della rottura meniscale:

  • corno posteriore (più frequenti)
  • corpo meniscale
  • corno anteriore

La lesione del menisco interno è circa cinque volte più frequente di quella del menisco laterale a causa del suo maggiore grado di mobilità.

Quando si verifica una di queste lesioni il menisco muta la propria forma e le proprie proprietà meccaniche ; questo fa si che in ogni movimento venga schiacciato in modo abnorme stimolando dolore poiché trazione la capsula e le fibre dolorifiche della stessa.

È come gettare un sassolino in un ingranaggio; potenzialmente in ogni movimento del ginocchio si può effettuare una nuova lesione del menisco sino a distruggerlo quasi completamente con gli anni.

Quali sono i sintomi di una rottura del menisco?

 

Essenzialmente il dolore si a riposo ma prevalentemente durante la flesso estensione del ginocchio. tale dolore si ha spesso anche durante la deambulazione sino a creare zoppia.

Tale dolore si localizza più medialmente o più lateralmente a seconda del menisco interessato.

Non di rado e soprattutto quando la lesione è traumatica si può avere gonfiore del ginocchio che può essere causato o dalla presenza di liquido infiammatorio o addirittura di sangue se la lesione è murale.

Come si effettua la diagnosi di rottura meniscale?

Anamnesi : la tipologia di meccanismo di lesione descritta dal paziente già ci fa deporre per una possibile lesione meniscale, soprattutto quando ci si parla li lesioni sportive in cui si è verificato un meccanismo di torsione sul ginocchio

Esame obiettivo:

L’ortopedico valuterà attraverso una accurata visita diversi parametri.

  • Movimento del ginocchio: non di rado dei frammenti meniscali posso interporsi nel ginocchio impedendo la corretta flesso-estensione, configurando il quadro di blocco articolare per manico di secchio.
  • La ricerca della presenza di liquido intrarticolare con il test del ballottamento.
    Effettuazione di test specifici per riconoscere le lesioni meniscali (Griding test, Apley ecc..)
  • Effettuazione di test pela ricerca di lesioni concomitanti ai legamenti (test del cassetto anteriore, posteriore, pivot-shift ecc)

Esami strumentali

Che esame diagnostico fare in caso di sospetta rottura del menisco?

  • La risonanza magnetica nucleare (RMN) rappresenta l’esame di scelta per la diagnosi di rottura meniscale. Tale esame che non è invasivo e non utilizza radiazioni ionizzanti è tuttavia costoso e per questo il medico di medicina generale lo prescrive dietro esplicita richiesta dello specialista ortopedico. Grazie a questo esame è possibile non solo studiare le caratteristiche della lesione scegliendo il miglior trattamento, ma è anche possibile diagnosticare lesioni associate a livello dell’osso, della cartilagine, del legamenti (collaterali e crociati) e dei tendini.
  • La radiografia anche se non necessaria per la diagnosi di lesione meniscale è fondamentale e deve essere sempre eseguita dopo un trauma per escludere prima di tutto una frattura ossea la quale ha la precedenza di trattamento rispetto alle lesioni delle altre strutture articolari del ginocchio.
  • La Tac o meglio TC è considerata esame di seconda nelle patologie meniscali scelta e va eseguito per far diagnosi di lesione meniscale in quei pazienti in cui vi è controindicazione alla effettuazione di risonanza magnetica.

Come si trattano le lesioni meniscali?

Poiché il menisco è una importantissima struttura del ginocchio, poichè serve per proteggere la cartilagine femorale e tibiale, esso va preservato.

Non tutte le lesioni meniscali vanno trattate. La scelta delle lesioni d trattare spetta ai chirurghi ortopedici esperti.

Essendo il menisco una struttura per la gran parte non vascolarizzata essa difficilmente è capace di cicatrizzare e pertanto spesso necessita di un trattamento chirurgico per rimuovere la sintomatologia dolorosa del paziente.

Oggi la chirurgia meniscale aperta o “Open” del ginocchio è stata quasi completamente abbandonata.

Attualmente la tecnica mininvasiva della artroscopia permette di effettuare tutti i gesti chirurgici del ginocchio attraverso dei piccolissimi accessi chirurgici.

Due sono essenzialmente gli interventi artroscopici che si effettuano in caso di lesione meniscale:

sutura meniscale o meniscopessi. Consiste nella riparazione delle lesioni meniscali. Tale riparazione anche se complessa e non eseguita purtroppo da tutti i chirurghi ortopedici deve rappresentare la prima scelta di trattamento in tutti i pazienti, in particolar modo in quelli giovani ed attivi. Le lesioni per essere riparabili devono però essere recenti, non degenerative e non devono interessare il margine libero meniscale e dipendono dalla età del paziente. Diverse sono le tecniche riparative.meniscectomia selettiva o parziale: consiste nella regolarizzazione delle lesione meniscale andando a rimuovere esclusivamente il frammento meniscale staccato senza toccare la parte integra del menisco. Questa tecnica fa si di lasciare in situ la gran parte del menisco in modo da ridurre al minino il processo di avanzamento della patologia artrosica che si è registrato in passato quando la chirurgia ortopedica era molto più invasiva e prevedeva la rimozione chirurgica dell’intero menisco causando così uno scarico completo delle forze di carico sulla cartilagine. Tale chirurgia minivasiva si avvale di una sofisticata tecnologia che attraverso lame motorizzate, bisturi a radiofrequenze e pinze meniscali permettono di rimuovere in mani esperte ogni lesione del menisco lasciando intatte le strutture nobili del ginocchio. Tutto ciò si traduce si traduce in un recupero rapidissimo per il paziente soprattutto quando effettuata in anestesia locale come predilige il Dott. Cavallo.

All inside: ovvero attraverso dei device che sparano ancorette e fili non riassorbibili ancorando il menisco alla parete.

Out- in ed in-Out . Queste tecniche prevedono l’utilizzo di cannule. Aghi speciali e fili che vengono utilizzati per suturare il menisco dall’interno verso l’esterno o al contrario

Con tunnel ossei che si utilizza soprattutto per l’ancoraggio soprattutto delle radici meniscali.

Dr. Angelo Cavallo – Ortopedico | Napoli | Brescia

http://www.facebook.com/specialistaortopediaetraumatologia

Come si effettua una artroscopia

Artroscopia:

l’artroscopia è una chirurgia mininvasiva adottata per l’esplorazione ed il trattamento delle patologie intrarticolari di diverse articolazioni. Questa consiste nella applicazione di piccoli accessi chirurgici inferiori ad un centimetro di inserire all’interno delle articolazioni una telecamera e piccoli strumentari che permettono di visualizzare direttamente le lesioni e trattarle senza dover accedere chirurgicamente attraverso incisioni molto più aggresive ed invasive che ritardano i processi di guarigione e di riabilitazione . Tutto ciò si traduce in un intervento che in mani esperte porta ad un minor tasso di complicanze, alla possibilità di utilizzare tecniche anestesiologiche locali, tempi chirurgici ridotti e quindi in un maggior tasso si soddisfazione per il paziente.

Chi ha inventato l’artroscopia?

Anche se considerata tecnica recente la prima applicazione risale agli inizi nel 1920, grazie al lavoro di Eugen Bircher, considerato l’inventore dell’artroscopia al ginocchio. Il chirurgo giapponese Masaki Watanabe è stato invece il primo ad impiegare l’artroscopia come atto chirurgico.

Come si effettua una artroscopia?

Fondamentale per l’artroscopia è la colonna artroscopica. Complessa e costosa attrezzatura chirurgica composta da:

  • Monitor, attraverso il quale il dott. Cavallo visualizza le immagini della telecamera introdotta in articolazione
  • Telecamera ad alta risoluzione che vine attaccata ad un “Ottica” dotata di un complesso schema di lenti che permette di modificare l’orientamento dell’immagine attraverso piccoli gesti.
  • Fonte luminosa che attraverso un cavo a fibre ottiche trasmette la luce all’interno della articolazione aumentandone la luminosita.
  • Una pompa artroscopica che regola la pressione della soluzione fisiologica che viene pompata in articolazione e che permette così un lavaggio continuo e di effettuare un intervento senza sangue.
  • Lama motorizzata o Shaver che contemporaneamente funge da bisturi asportando le lesione e contemporaneamente aspirandole in modo da evitare di lasciare residui in articolazione.
  • Bisturi a radiofrequenze: sofisticato strumento che disidrata le strutture permettendo di tagliare e coagulare i tessuti periarticolari
  • Computer che ci permette di effettuare video e foto, che il Dott. Cavallo rilascia ai suoi pazienti masterizzandole su un CD, in modo da avere un reperto obiettivabili di cosa viene effettuato nell’articolazione del paziente.

Oltre alla colonna artroscopica sono fondamentali per l’artroscopia le cannule che fungono da guida per la introduzione della telecamera e ad cui si collegano i tubi di entrata ed uscita della pompa artroscopica e tutta una serie di strumentari specifici come : palpatore, pinze a Basket (o di Citelli), uncino palpatore, bisturi da menisco, microforbici da menisco , pinze ad anelli, pinze da presa ecc…

Che tipo di anestesia si effettua per le artroscopie?

Per il ginocchio la gran parte dei chirurgi predilige anestesia spinale o generale. Il dottor Cavallo invece applica un protocollo che gli permette di effettuare in anestesia locale questo intervento. Questa tecnica prevede l’iniezione di anestetico locale attraverso due punture

Direttamente sul ginocchio (come una comune infitrazione). A tale anestesia fa associare una blanda sedazione per ridurre al paziente lo stress della sala operatoria.

Per le artroscopie di spalla si effettua invece anestesia plessica o generale a seconda dei casi.

Per anca e caviglia è invece necessaria l’anestesia spinale.

Il quali articolazioni possono essere effettuate le artroscopie?

In realtà potenzialmente questa tencnica può essere effettuata nella gran parte dlle articolazioni grazie a cannule, ottiche e strumentari di diverse misure.

Le artciolazioni dove prevalentemente è applicata questa tecnica senza dubbio sono:

  • Il ginocchio
  • La spalla
  • L’anca
  • La caviglia
  • Il polso ed il gomito.

Che interventi si possono effettuare in artroscopia?

Nel ginocchio

  • La riparazione (meniscopessi) o l’asportazione selettiva di menischi rotti (meniscectomia selettiva).
  • La ricostruzione dei legamenti crociati (anteriore e posteriore).
  • Le regolarizzazioni di lesioni cartilaginee e le condroplastiche di lesioni ulcerative attraverso apposite pinze, lame motorizzate o bisturi a radiofrequenze.
  • Le rimozioni di corpi mobili.
  • La sinoviectomia (asportazione della membrana sinoviale in eccesso o patologica).
  • La plicectomia (asportazione di pliche sinoviali patologiche).
  • Perforazioni subcobdrali per richiamare in articolazione cellule staminale e facilitare la riparazione cartilaginea.
  • Riallineamento rotuleo attraverso un intervento definito di “ lateral release” o release dell’alare esterno della rotula .

Nella spalla

  • Riparazione della cuffia dei rotatori.
  • Acromionplastica (ovvero pulizia dello spazio subacromiale per permettere un miglior scorrimento dei tendini della cuffia dei rotatori).
  • Asportazione della borsa subacromiale.
  • Asportazione di corpi mobili .
  • Asportazione di calcificazioni.
  • Tenotomia del capo lungo del bicipite.
  • Correzione delle instabilità di spalla per le lussazioni recidivanti scapolo-omerale.